L’azienda eccellente ha l’innovazione nel proprio DNA. Nel mercato globale chi si ferma rischia di subire il cambiamento, perdendo terreno rispetto ai competitor. Ma che cosa si intende per innovazione? È utile distinguere tra due accezioni del termine: innovazione di prodotto e innovazione di processo. Spesso l’accento cade sulla prima: l’innovazione è intesa come ideazione di soluzioni nuove, attraverso oggetti fisici o software, a bisogni diffusi, che portano all’apertura di mercati inesplorati. Un’opportunità che negli ultimi anni, grazie al progressivo abbattimento delle barriere d’accesso alle tecnologie – in termini di costi e di competenze necessarie a maneggiarle – si è allargata enormemente.
Ma l’attenzione al prodotto non deve oscurare l’innovazione di processo, un fattore forse meno visibile ma necessario per garantire sostenibilità e scalabilità nel business senza intaccare marginalità e profittabilità. Per tradurre un’idea in prototipo e portarla poi sul mercato, servono investimenti in ricerca e sviluppo, una capacità produttiva adeguata, una supply chain ben strutturata e strategie di marketing studiate ad hoc: servono, insomma, flussi robusti, veloci e capaci, progettati in modo da non incappare in colli di bottiglia che impediscano di raggiungere i potenziali clienti con efficacia e senza sprechi di tempo e di risorse.
Il caso Officina 3 dimostra come, in una realtà fortemente innovativa sul fronte del prodotto, sia possibile introdurre radicali innovazioni di processo. Officina 3 è un’azienda di Padova che da quasi vent’anni è specializzata nella progettazione e produzione di accessori e lavorazioni per i settori dell’alta moda, dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria. Gli articoli vengono curati dalla fase creativa alla delivery al cliente.
«I processi qui sono caratterizzati da un’altissima varietà – spiega Corrado Corte, Value Delivery Manager di auxiell che gestisce e coordina il team di progetto –, un fattore che a volte scoraggia le aziende dall’intraprendere un percorso di lean transformation. Una convinzione errata fa pensare che il lean system sia utile soltanto in quelle organizzazioni che producono articoli in alti volumi e bassa varietà. Il caso di Officina 3 dimostra esattamente il contrario».
Fashion, personalizzazione e creatività
La complessità dei processi in Officina 3 è causata da diversi fattori: la stagionalità connaturata al settore del fashion, l’elevato grado di personalizzazione e creatività dei prodotti, spesso realizzati con materie prime di ogni genere e fattezza che impattano su lavorazioni incredibilmente diverse, l’instabilità della domanda con l’alternarsi di lotti di diverse dimensioni. Con il crescere del volume d’affari, è incrementata anche la complessità dei processi interni.
«Nella fase di assessment iniziale abbiamo constatato come vi fosse una grande varietà di articoli che passavano per gli stessi centri di lavoro – spiega Corte –. I flussi di produzione dei diversi articoli erano intrecciati, e ciascuno era caratterizzato da un’alta variabilità della domanda. Un giorno arrivava l’ordine di produrre 100 tomaie, e il giorno successivo potevano esserne richieste 1000 di una tipologia diversa. Proprio tale alta variabilità rendeva impraticabile una classica soluzione lean come la creazione di flussi dedicati alle singole famiglie di prodotto».
Cambio di prospettiva: da push a pull
La produzione funzionava secondo il modello push (“spinta”), ovvero si puntava a utilizzare al massimo la capacità produttiva degli impianti. Così facendo la produzione dei singoli reparti era ottimizzata, ma il flusso nel suo complesso no: si formavano molte scorte tra un reparto e l’altro, incrementando il tempo di attraversamento. Si è optato quindi per una soluzione differente: «Abbiamo scelto – spiega Corrado Corte – di mantenere i flussi di produzione intrecciati, puntando a regolarizzare e mettere sotto controllo la dimensione dei buffer, ovvero i semilavorati che vengono temporaneamente stoccati tra due fasi del flusso produttivo, in attesa della successiva trasformazione».
Tali obiettivi sono stati raggiunti sostituendo la logica push con quella pull – ovvero è la lavorazione a valle a “tirare” la produzione, invitando i macchinari a monte a rifornirgli solo il numero di semilavorati necessari a soddisfare la domanda. Per applicare tale logica si è adottato uno strumento innovativo, (al quale abbiamo dato il nome poco sexy di “prioritizzatore”), che combina in modo originale le tecniche heijunka, polca e kanban. «Grazie a un tabellone e a un sistema di cartellini da applicare ai lotti di produzione – spiega Corte –, siamo in grado di definire per ogni centro di lavoro, in ogni istante di tempo, quale lotto di produzione ha la priorità di lavorazione».
Lead time medio ridotto del 30% grazie al “prioritizzatore”
Come si definisce la priorità? In un centro di lavoro ha la precedenza il lotto di produzione in attesa di essere lavorato, che ha come fase successiva il centro di lavoro più scarico (ovvero con il buffer in ingresso minore). Il meccanismo del “prioritizzatore” è qui presentato in forma estremamente semplificata. I risultati,tuttavia, sono molto concreti: dopo alcuni mesi di applicazione, si nota già una diminuzione del lead time medio del 30%.
Lean e innovazione si dimostrano un binomio vincente: grazie a processi più efficienti, le imprese ad alto tasso di creatività diventano più reattive di fronte a mercati in continua evoluzione. Creando maggior valore per i clienti, cresce anche il valore per l’azienda, in un’ottica win-win.